
Cos’è che fa bella una donna? Il problema si pone per chiunque ed è contenuto in forma esemplare nell’espressione: “farsi belle”, come a dire che la bellezza non si possiede una volta per tutte, come fosse una semplice proprietà oggettiva rispetto alla quale si diano soltanto due possibilità: averla o non averla. Piuttosto, la bellezza “si fa”, è il risultato di un processo dinamico che può essere avviato da ognuna di noi, “bella” o “brutta” che sia: è una lavorare su noi stesse, è un trasformarci incessante, un dirigerci secondo un piano verso un ideale. Ma se la bellezza non è una proprietà naturale data, bensì un deliberato progetto intorno a se stesse, allora si pone anche la questione della responsabilità: ognuna di noi è responsabile d’essere bella. La bellezza ci impegna, ci chiede adempimenti, ci impone scelte e rinunce. Quali? Pensiamoci un attimo, pensiamo a quanto del nostro tempo è votato alla bellezza.
Le lunghe ore in palestra, le interminabili sedute dal parrucchiere, gli appuntamenti strappati all’estetista, le affaticanti maratone dello shopping, la sveglia che al mattino suona con largo anticipo, perché per noi prepararci significa non solo farci una doccia, ma anche truccarci, pettinarci, scegliere l’intimo, il vestito, le scarpe, il cappotto, gli accessori. E tutto ciò lo facciamo per essere (o divenire) belle. Ne vale la pena? Quanta fatica ci comporta vivere in questo modo? Quanta concentrazione ci richiede? Quante risorse psichiche e materiali ci manda in fumo? Per giunta, considerati i risultati, talvolta il bilancio potrebbe anche rivelarsi in negativo e, allora, si apre tutto quel capitolo penoso della frustrazione, o perfino della depressione.
Il punto, però, è un altro. Il punto è quanto dicevamo sopra: è l’essere votate alla bellezza, con tutte le responsabilità che ne derivano. Il bello delle donne è proprio nel fatto che il bello è delle donne: è una loro specifica competenza. Se un ruolo non si può non riconoscere loro, è proprio quello d’essere da sempre agenti di bellezza. Aggiungerne ancora altra a quella che già esiste e che di continuo è minacciata dalle infinite brutture che ci assediano da ogni parte: può esistere una missione più degna e alta di questa? C’è qualcosa che può donare più senso all’esistenza propria e altrui? Quanto valgono gli occhi colmi di stupore di un uomo che ci guarda e ha come l’impressione di non riconoscere più il mondo in cui ha finora vissuto?